Ripartire dai pilastri della comunità degli Atti degli Apostoli: parola di Dio, vita comunitaria, frazione del pane, preghiera. Sono questi i fondamentali del nuovo volto della Chiesa secondo la ricetta del vescovo Lauro, intervenuto martedì sera a Pergine incontrando gli appartenenti del consiglio pastorale e dei comitati delle dieci parrocchie ora affidate a don Antonio Brugnara.
Un incontro che chiude una prima parte di percorso già iniziato insieme l’anno scorso, una prima “prova di comunità” per una Chiesa che affronta la sfida dei tempi, e si rigenera.
Una Chiesa, come ha detto don Lauro, che deve diventare in un certo senso missionaria sul nostro territorio: Chiesa intesa non più come organizzazione, ma come “prolunga di Gesù di Nazareth”, con attore principale lo Spirito Santo.
Le dieci parrocchie del perginese, nei loro primi incontri comuni, hanno gettato le basi per questo nuovo corso, sintetizzabile nella frase “passare da comunità di confini a comunità di persone”, nel quale le parrocchie non guardino più al territorio-recinto ma siano aperte.
Sulla base di questo, don Lauro non si è lasciato sfuggire l’entusiasmo arrivando a proporre che il perginese diventi una sorta di “laboratorio sperimentale” nel quale mettere già in campo il nuovo volto della Chiesa. “La vostra zona -ha detto il vescovo- è di per sé geograficamente facilitata per l’interazione fra comunità rispetto ad altri territori. Vedrei quindi la possibilità di usare questo percorso come modello per la Diocesi”.
Diocesi, non lo si è nascosto, che deve affrontare la carenza di sacerdoti come prima, vera emergenza: “Io non ho più preti -ha proseguito don Tisi- e fra cinque anni mi resteranno solo una sessantina di sacerdoti attivi. Già ora ben 108 preti non celebrano più nelle parrocchie e si sono ritirati, per anzianità o altro. Ma sono convinto che fra cinque anni quel numero di sacerdoti sarà sufficiente per il numero di fedeli che parteciperanno alle messe. Non importa infatti il numero delle persone, ma il modo in cui la Chiesa si presenterà”.
Unica preoccupazione da cui guardarsi bene, secondo il vescovo, è la rassegnazione: la sfida che si ha di fronte è infatti anche un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, con la Chiesa che deve testimoniare comunità, appartenenza, accoglienza.
Nel perginese quindi, dieci parrocchie, o meglio dieci “fuochi” devono imparare a creare relazioni al loro interno e farsi carico dei problemi del territorio. Comunità missionarie quindi e non erogatrici di servizi. Comunità nelle quali gustare di essere Chiesa, al di là della presenza di un sacerdote. “Questo -ha proseguito don Tisi- ce lo testimoniano quelle zone ora rette da amministratori parrocchiali, magari anche da due anni. Quando sono diventato sacerdote io, una situazione del genere era impensabile. Oggi invece la contingenza delle cose ce l’ha chiesta, e le comunità si sono adeguate, non sono rimaste ferme”.
Comunità che solo così saranno proiettate verso il futuro e non saranno destinate a diventare musei.