“Davanti alla tua croce, le nostre croci. Con te andrà tutto bene”: un Venerdì Santo di dolore e speranza

“Davanti alla tua croce, le nostre croci”: è un Venerdì Santo straordinariamente carico di significato, quello vissuto quest’anno. Un venerdì di passione, dove al centro vi è solo la croce, che nel suo silenzio assordante fa emergere anche tutte le croci che ci circondano: persone malate, familiari attanagliati dalla paura e dal dolore del distacco, personale medico allo stremo. Un mondo in croce.

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Don Antonio e don Paolo hanno guidato, in diretta streaming, la celebrazione della Passione e Morte del Signore, con il racconto evangelico delle ultime ore di Gesù, l’intensa preghiera universale che quest’anno ha visto anche straordinariamente l’aggiunta del ricordo di tutte le persone a vario titolo toccate dalla pandemia, e l’adorazione della croce.

Riportiamo integralmente l’omelia di don Paolo.

“Signore, oggi la tua croce è al centro. Su quella croce ci sei tu e ci saremmo avvicinati per baciarti. Che cosa possiamo dirti? Abbiamo ascoltato la narrazione della tua via crucis, su fino al Calvario. Che cosa ci fa sentire vicino a te se non raccontarti delle nostre croci, quelle che stiamo vivendo, i pesi che stiamo portando? Davanti alla tua croce, presento le nostre croci. Sono piccole e grandi croci che hanno il peso di questo tempo. La nostra croce è la fatica di stare in casa; è pesante non vedere una persona cara, non poter far visita ai nostri genitori o ai nonni. E’ una croce non poter vedere gli amici, abbracciare la propria fidanzata, non festeggiare una laurea, rinviare un matrimonio, una festa. E’ una croce non sapere come andrà a finire, quando finirà, come sarà quando finirà. La nostra croce è il peso di tanti gesti che erano ovvi e non lo sono più. E’ il peso di programmi mandati all’aria, di agende saltate, di qualche sogno svanito. E’ il peso di ammettere di non avere la vita sotto controllo, della disillusione di dettare noi i tempi. Ma è più pesante ancora la croce per chi ha perso il lavoro, per chi non sa quando potrà tornare, per chi sperimenta una precarietà che non era immaginabile, e non si sa quando tornerà la sicurezza e la tranquillità. C’è la croce di chi lavora, e mette a rischio la propria vita e quelle delle persone vicine. La nostra croce è quel bollettino delle 18 che non porta ancora buone notizie. La nostra croce è il peso anche di ferite che lo stare in casa ha riaperto: è la fatica dello stare fianco a fianco, di silenzi tesi che avvolgono le case, dove la casa non è un caldo e tranquillo focolare. E’ il peso di una fedeltà ad una promessa, del dover restare quando si vorrebbe scappare. La nostra croce è il peso di non poter celebrare assieme l’eucaristia, di non poter confessare quel peccato che mi pesa. Ma la più grande, Signore, è la croce di chi è solo, di chi è ammalato, di chi non può stare vicino al proprio caro in croce. E’ pesante oggi per chi non ha potuto salutare e celebrare il funerale di chi voleva bene. Davanti alla tua croce ci sovvengono tanti crocifissi e tante croci, vicine e lontane, di oggi e di sempre. Davanti a croci più grandi, Signore, un po’ ci vergogniamo delle nostre piccole, ma ci consola poco pensare che ce ne sono di peggiori, perché ciascuno sente la sua, è quella che deve portare. Davanti alla tua croce, Signore, rimango in silenzio, e ritornano le parole di Isaia: “Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Su di lui ricadde l’iniquità di noi tutti”; e quelle della lettera agli Ebrei: “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze. Egli è stato messo alla prova in ogni cosa, come noi”. Signore, tu mi capisci, sai cosa sto passando. Addirittura mi dici che sulla tua croce c’è anche la mia, che posso appoggiarla sulla tua, che non c’è dolore o passione che tu non comprenda o possa portare. Signore, le affido a te: la mia e quelle degli altri, di tutti i crocifissi della storia. Lo so che non la togli, ma così sembra più leggera, più sopportabile. Allora mi accorgo che quella croce sembra un “più”, il “più” che aggiunge. Tu stai aggiungendo qualcosa all’umanità, alle altre croci, alle grandi e piccole croci. Trasformi la croce in un “più” di amore, significato, forza. In quelle piaghe mi sento anche io raggiunto e aggiunto. Mi sento accolto e ricevo quello spirito che metti sulla terra. Mi accorgo che accanto alla croce c’è sempre una madre, un amico, un cireneo, una Veronica che se non possono togliere la croce la rendono almeno più sopportabile. Mi accorgo che anche quel momento tu non ti tiri indietro. E alla richiesta di ricordarti di me, povero ladrone, di rimettermi vicino al tuo cuore, mi dici che sarò con te in paradiso. Nelle nostre case, da qualche parte, è appeso un crocifisso, magari impolverato, dimenticato, ormai un pezzo di arredamento. Eppure la tua croce non è un soprammobile. Andiamo a cercarlo, fermiamoci a guardarlo. Portiamo le nostre croci lì, contempliamo il “più” che abbiamo in casa. Quelle braccia aperte sulla croce formano una finestra che apre su qualcosa di nuovo. Tu sai fare nuove tutte le cose. Non lo comprendo ora, non lo vedo. Ma so che tu mi dai la forza di crederci, di non rassegnarmi, di non credere allo sconforto e alla delusione. Davanti alla tua croce sento sgorgare un grazie, e prende senso quell’antifona “Ti adoriamo e ti benediciamo per la tua croce, perché hai riscattato il mondo”; perché hai riscattato la mia vita, e fai credere che nel mio cuore, come in un giardino, arriverà la primavera. E con te, sì, andrà tutto bene“.