La conca della Comparsa, uno dei luoghi più suggestivi del santuario della Madonna di Piné, ha fatto da adeguata cornice, nella serata di venerdì 5 giugno, alla grande preghiera di ringraziamento e affidamento a Maria della Chiesa trentina, a conclusione di un anno pastorale fortemente condizionato dall’emergenza Coronavirus. A guidare la celebrazione – la cui location non è stata pubblicizzata proprio per evitare assembramenti, puntando invece sulla diretta Tv e streaming – l’arcivescovo Lauro Tisi. Accanto a lui, tra i sacerdoti, don Tiziano Telch (delegato Area Annuncio) che ha introdotto l’appuntamento, il parroco del pinetano don Stefano Volani e il rettore del santuario di Piné don Piero Rattin, autore dell’invocazione finale di affidamento a Maria.
“Vorrei che in questo momento -ha detto il vescovo introducendo la preghiera- davanti a ciascuno di noi scorresse il volto di tanti nostri fratelli trentini che ci hanno lasciato a causa del virus. Ci hanno lasciato in solitudine, senza il conforto dei loro cari e di un funerale. Sono i primi convocati stasera e nella comunione dei santi li sentiamo vivi e presenti. Vorrei poi entrare in quelle case dove il virus è entrato seminando morte, solitudine, angoscia e segnando le esistenze. Vorrei portare il volto dei tanti operatori sanitari che in questi mesi hanno tenuto in piedi la nostra vita con la loro generosità. Vorrei portare le famiglie affaticate, dove si sono allargate le divisioni, ed i giovani e gli adolescenti, privati della socializzazione. Porto qui il volto anche di Tommaso Mattivi, che sull’Altopiano, qualche giorno fa, ci ha lasciati a causa di un incidente”.
Al centro della preghiera, la recita di un rosario molto particolare: cinque decine di Ave Maria, introdotte dal Vangelo dei discepoli di Emmaus e pronunciate da rappresentanti di mondi particolarmente significativi in ambito ecclesiale e civile, con attenzione a particolare a chi è stato maggiormente toccato dai mesi di picco della pandemia ma “capaci – ha spiegato don Tiziano – di raccontare la freschezza dello Spirito Santo”: ammalati e volontari, operatori sanitari, famiglie (a loro era affidata anche l’animazione canora), giovani e adolescenti, movimenti ecclesiali.
Nella sua appassionata riflessione, l’arcivescovo Lauro ha richiamato, a pochi giorni dalla domenica di Pentecoste, l’efficacia dell’azione dello Spirito Santo, a cui affidare la richiesta di non disperdere troppo in fretta la lezione di questi mesi di pandemia “nei quali – ha ricordato don Lauro – si è continuato a ripetere dentro e fuori la Chiesa: non possiamo prescindere dalle relazioni, dalle persone, dall’amare”. “Il mantra sulla necessità delle relazioni – ha però ammonito l’Arcivescovo – , si sta già raffreddando. Gli eroi rischiano di finire sul banco degli imputati”, c’è il rischio concreto “semplificare la realtà sbandierando facili soluzioni” e procedendo “non raramente l’un contro l’altro armati”. Monsignor Tisi ammette che “davanti a Cristo Crocifisso tocchiamo con mano che l’amare non è questione da risolvere con quattro regolette e l’attivazione di qualche svolazzo sentimentale”. Piuttosto “è avvicinarsi al fuoco”. “Voler bene – argomenta Tisi, descrivendo con efficacia la pienezza dell’amore – è entrare nel vuoto dell’altro, nella voragine delle sue inconsistenze, accoglierle senza giudicarle, riconoscendo in quella stessa debolezza e fragilità la nostra”.
Dal pericolo incombente della dimenticanza collettiva post-virus, l’Arcivescovo di Trento non esclude certo la Chiesa, tentata dal “costruire ‘nidi’, raccogliendosi attorno al proprio gruppo, alle proprie preferenze, alle proprie idee”, rifiutando “novità e sorprese”, lontani dalle dinamiche dello Spirito Santo a cui monsignori Tisi, a nome della Chiesa trentina, chiede ora di evitare che venga consegnata “di nuovo all’oblio la chiamata ad amare che insieme abbiamo condiviso. Ci accompagni, in questo cammino, – sottolinea – il dolce e struggente ricordo di chi si è congedato da noi, senza poterci salutare”. Infine, con le parole di Bernanos (“Tutto è Grazia”) il ringraziamento alla Madonna, proprio sotto la statua in cui la Vergine appare a Domenica Targa: “La nostra Chiesa in questi mesi ha dimostrato di essere viva, di saper frequentare i gesti del Samaritano, assetata di Parola, desiderosa di novità”.
“Vorrei ricordare in particolare -ha concluso il vescovo prima della benedizione finale- gli ospedali e le case di riposo, nei quali si continua a combattere con il virus, si continua a morire per il virus. Scenda abbondante la benedizione sugli operatori sanitari, su tutti coloro che negli ospedali in questo momento hanno in carico i nostri malati. Giunga a loro anche la nostra benedizione, il nostro “dire bene” a loro, che non si volga in fretta a critiche e distinguo”. Un ricordo don Lauro lo ha riservato anche a chi sta soffrendo problemi economici, auspicando nella concretezza anche un intervento della Chiesa: una chiesa non indaffarata nell’organizzazione di un calendario di eventi, ma una Chiesa umile che si fa vicino a chi soffre, che sa mostrare il volto del Samaritano.