Tante messe, pochi preti: in vista riduzioni e tagli

Ultimamente, e con sempre maggior frequenza, nelle parrocchie del perginese (così come in altre località nella diocesi) capita che i parrocchiani si ritrovino a messa ma il celebrante non è il parroco, e neanche un suo collaboratore conosciuto: è magari un sacerdote che per la prima volta arriva in paese, celebra e poi risale in auto per raggiungere un’altra località, un’altra chiesa nella quale un’altra messa lo attende.

È lo specchio, sempre più attuale, della carenza di vocazioni sacerdotali, che costringono i pochi sacerdoti attivi rimasti a fare letteralmente i salti mortali per assicurare le messe come da calendario: un calendario, però, che non cambia pressoché da anni, da quando i preti (ma anche i parrocchiani attivi, va detto) erano di più.

Nel perginese questa vera e propria emergenza sta assumendo ormai un carattere settimanale: alcuni sacerdoti collaboratori, anziani, devono fare i conti con gli acciacchi dell’età, qualche malanno fisico. Insomma con la carta d’identità.

Contando non solo le 10 parrocchie affidate a don Antonio Brugnara (Pergine, Masetti, Zivignago, Susà, Costasavina, Roncogno, Ischia, Canale, San Vito e Santa Caterina), ma anche quelle di don Daniele Laghi (tutta la Valle dei Mocheni), quelle di don Marco Berti (Madrano, Viarago, Nogarè, Vigalzano) e quelle di don Dario Sittoni (Canezza, Serso), fra sabato sera e domenica le celebrazioni sono ben 28, senza contare le messe celebrate al convento dei frati francescani.

Un’offerta a tutto campo, anche se da qualche tempo in Valle dei Mocheni è in uso l’alternanza fra alcune località vicine.

Questi numeri però vanno confrontati con le forze disponibili: 8 sacerdoti, con un’età media di 62,5 anni; ma solo 2 di questi hanno meno di 40 anni, 2 hanno superato gli 80, ed i restanti sono quasi tutti verso i 70. Quattro parroci, un vicario parrocchiale e tre collaboratori pastorali, materialmente, stanno arrivando al limite, non riuscendo più a garantire le messe dappertutto.

E allora si fa ricorso a quei sacerdoti che sono “jolly” e che, in base alle proprie disponibilità, corrono su tutto il territorio della Diocesi per “tappare i buchi”. Ma anche in questo caso i numeri non sono confortanti: sono solo 8 questi “jolly” (cinque provengono da congregazioni come cappuccini, comboniani, venturini, bertoniani o salesiani). In un caso, uno di questi sacerdoti  è vicino ai 90 anni.

Una situazione, lo si capisce bene, che sta diventando ingestibile, insostenibile: una situazione che mai come in questo caso sono chiamati ad affrontare sia laici che sacerdoti insieme, a partire proprio dal perginese. Da oggi a fine agosto sono 17 le messe “scoperte” (si va da 2 a 4 ogni domenica), per le quali di volta in volta si va in cerca di soluzioni.

“È arrivato il momento di prendere decisioni anche impopolari -spiega don Antonio Brugnara- sedendosi attorno ad un tavolo e rivedere tutti gli orari delle messe”: la soluzione, però, è solo una, ovverosia la “forbice”. Nel perginese infatti in ben 5 parrocchie le messe sono assicurate da sacerdoti appartenenti alla congregazione dei Giuseppini del Murialdo, che non è detto rimanga per sempre sul territorio. “Dobbiamo iniziare a pensare a alternanze fra paesi, a riduzioni di messe, dove si può qualche messa al sabato sera -prosegue don Antonio- e questo già dai prossimi mesi. Il giorno dell’Assunta in particolare le messe da coprire sono tante, non so come faremo”.

Di certo le persone dovranno abituarsi ben presto a non avere più la messa sulla porta di casa, mentre i consigli pastorali saranno chiamati a breve a rivedere tutti gli orari.

 

dal quotidiano L’Adige del 21 luglio 2019