Scambiatevi il dono della pace. È la formula che nel nuovo Messale ha sostituito la vecchia espressione: scambiatevi un segno di pace.
Ma da quando è scoppiata l’emergenza Covid, in molte parrocchie non lo si dice più. Per ridurre al minimo i contagi si preferisce soprassedere, evitare ogni contatto, magari limitarsi a recitare insieme, i celebranti e i fedeli, la preghiera che anticipa il rito: «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli : “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli».
Inutile dire che non potersi sfiorare, non esprimere anche con un piccolo segno concreto la volontà di creare comunione è un impoverimento. Per questo già adesso molte sacerdoti durante la Messa invitano a guardarsi negli occhi, a sorridersi, pur se da dietro la mascherina. Una scelta che la Cei approva e sostiene.
Il Comunicato finale dell’ultimo Consiglio permanente sottolinea infatti che i vescovi italiani hanno deciso, a partire da domenica 14 febbraio «di ripristinare un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, invocato da Dio durante la celebrazione eucaristica». E visto che non sembra opportuno sostituire la stretta di mano o l’abbraccio con il toccarsi con i gomiti «può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo».
Quindi all’invito «Scambiatevi il dono della pace», ai fedeli verrà chiesto «di volgere gli occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino» per accogliere e scambiare il dono della pace, fondamento di ogni fraternità. «Là dove necessario – prosegue la nota – si potrà ribadire che non è possibile darsi la mano e che il guardarsi e prendere “contatto visivo” con il proprio vicino, augurando: «La pace sia con te», può essere un modo sobrio ed efficace per recuperare un gesto rituale».
L’abitudine di scambiarsi un segno di pace durante le celebrazioni è antichissimo. Ne parla già san Giuseppe di Nablus all’inizio del II secolo e san Cirillo di Gerusalemme, siamo al IV secolo, lo pone subito prima del dialogo del prefazio. Si tratta di un gesto importante che, come spiegano i liturgisti, è «esplicitazione del senso della comunione cristiana», rimarcando l’importanza del dono, la pace appunto, che viene dal Signore. Bisogna però fare attenzione a non esagerare con l’entusiasmo, a non eccedere nell’espressione dell’affetto. Tanto che nel 2014 la Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti, con l’approvazione del Papa, ha diffuso un documento in cui chiede sobrietà e invita anche studiare la possibilità di collocare lo scambio di pace in un altro momento della liturgia, per esempio, come avviene nel rito ambrosiano, prima dell’offertorio. Un gesto importante dunque, ma da vivere bene. Ricordando che non è la nostra pace che vogliano condividere ma – spiega il testo vaticano – «la pace che sgorga dalla Pasqua di Cristo».
da Avvenire.it