“Non c’è futuro senza i lavoratori. L’economia sia subordinata alle persone”: il vescovo Lauro a Pergine per la festa del lavoro e di San Giuseppe lavoratore

“La pandemia ha pesantemente sconvolto una parte consistente del mondo del lavoro. Penso ai lavoratori stagionali e a quelli per cui il tempo determinato è ormai inesorabilmente scaduto. Penso ai tanti che nascostamente, senza rumore, stanno vivendo un vero dramma personale e famigliare. Questa loro tenace dignità chiede ora a noi, con forza, di non voltarci dall’altra parte, ma di sentirci tutti interpellati, nessuno escluso, soprattutto chi è in condizione di produrre posti di lavoro, servizi, formazione”.

E’ un passaggio dell’omelia dell’arcivescovo Lauro Tisi nella Messa per il 1° maggio, san Giuseppe lavoratore e Festa del lavoro, nella chiesa parrocchiale di Pergine Valsugana su iniziativa delle parrocchie del perginese e delle Acli: a concelebrare con l’arcivescovo, il parroco di Pergine, don Antonio Brugnara, il vicario parrocchiale don Paolo Vigolani, il collaboratore don Luigi Boninsegna e l’assistente ecclesiastico delle Acli e delegato per l’Area Testimonianza e Impegno Sociale della diocesi, don Cristiano Bettega.

Nella storia del falegname Giuseppe, uomo alle prese con l’imprevisto (come lo è la pandemia), affrontato sempre con bontà d’animo e grande senso di responsabilità, don Lauro vede un invito a “non cavalcare la frustrazione, la rabbia, il disagio delle persone per meri interessi di bottega”, ma anche “una salutare provocazione per il mondo della politica e dell’economia a immaginare un futuro con i lavoratori e non senza di loro. Un futuro dove la partita economica sia subordinata alle persone perché senza le persone non si riparte e non si crea alcuno sviluppo”.

La celebrazione si è aperta con il saluto da parte del consiglio interparrocchiale del Perginese: “Ci piacerebbe oggi poter far festa per il cammino fatto nella custodia del creato e per i frutti del lavoro. Ma le tante ferite della terra e i volti dei fratelli che vivono nella povertà, sfigurati dalle malattie, dalle situazioni dove il lavoro non c’è o è ingiusto e malpagato e la dignità è calpestata, ci impongono un momento di silenzio e di condivisione, senza tuttavia rinunciare al sogno di una terra nuova e di una umanità riconciliata. La pandemia ha svelato tutta la nostra vulnerabilità e ha mostrato che la nostra terra è sempre più una comunità globale dove nessuno può pensare di vivere nella propria isola: il virus non ha conosciuto barriere e sta provocando dappertutto povertà, dolore, solitudine. Nulla sarà come prima per le famiglie che hanno perso i loro cari e per le comunità che hanno visto ferire le proprie relazioni. Nulla sarà come prima per vari settori del mondo del lavoro: il turismo, i trasporti, la ristorazione, il comparto della cultura, tante realtà del terzo settore e altre ancora”.

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Significativa la processione offertoriale, dove assieme alle specie eucaristiche sono stati presentati all’altare una pianta, segno di rinascita e bellezza, e gli strumenti del lavoro: da quelli usati da chi ha assistito in questi mesi i malati ed i sofferenti, da chi ha fatto ricerca per le cure ed i vaccini, da chi ha svolto, nonostante tutto, i servizi essenziali, da chi invece non ha potuto più utilizzarli o ha dovuto radicalmente cambiare modo di lavorare.

Molto sentito il discorso finale del sindaco di Pergine, Roberto Oss Emer: “Non c’è molto da festeggiare. Come sindaco posso dire che vivo ogni giorno il dramma di chi il lavoro lo ha perso o magari lo perderà. Percepisco ogni giorno la sofferenza di chi è rimasto senza speranza e prospettive, ed è disperato. Sono sempre di più queste persone, di cui magari spesso non ci rendiamo conto in che situazione si trovino. Abbiamo una povertà nascosta di cui nemmeno io mi rendo conto. La mia porta è sempre stata aperta, a ciascuno ho sempre cercato di dare qualche risposta. Questo nel segno dell’accoglienza, del dialogo, della solidarietà, indipendentemente dalla provenienza, dal colore della pelle, dallo stato o dalla situazione che vive. Non sempre sono riuscito a trovare soluzioni o dare certezze come avrei voluto, ma questo è stato il mio obiettivo: essere presente e vicino alle persone. Il Comune non è una chiesa, ma in qualche modo ci assomiglia perché può essere un luogo più o meno accogliente, più o meno ospitale; può diventare luogo di speranza ed è comunque la casa di tutti noi. Non sempre è facile trovare le parole giuste, e tante volte sarebbe meglio rispettare il silenzio, che a volte parla da sé. Per questo voglio esprimere un grande sentimento di vicinanza alla mia gente. Questo credo sia il messaggio più autentico per questa giornata: il senso di appartenenza alla comunità può aiutare a farci sentire più solidali, più vicini, più vivi e più vitali. Il sindaco non può risolvere tutto: tanti lo pensano, ma anche lui deve osservare regole a volte assurde e incomprensibili, e per questo soffro perché non posso trovare le parole di conforto per tutti. Io ci credo a questo valore di comunità e bene comune e per questo cerco di rappresentarlo al meglio delle mie possibilità. Dobbiamo guardare avanti con fiducia e con speranza, due elementi che sono come il carburante nel motore di una macchina. Senza ciò la macchina non va avanti, e allo stesso modo la nostra vita, senza questi elementi, non può andare avanti. Alimentiamo il futuro con questo, con buone pratiche, con la solidarietà, per non abbandonarci all’egoismo e all’indifferenza o peggio ancora alla disperazione. Che questo primo maggio possa essere una primavera del cuore”.

Pure il presidente delle Acli trentine, Luca Oliver, ha voluto ricordare al termine della celebrazione la situazione molto pesante del lavoro: “Parlare di lavoro vuol dire parlare di dignità della vita. Non è più un tema da convegni, è una questione di uomini e di donne. Da qui la richiesta di Acli di utilizzare i fondi del Recovery Plan per investire in lavoro. Non abbiamo mai vissuto una situazione drammatica, e non è accettabile la solita mediazione su questo tema. Oggi abbiamo tutte chiare le priorità, ed è necessario un impegno straordinario delle istituzioni e della politica. In particolare, sui circa 450 mila disoccupati che l’Italia ha o avrà a seguito della pandemia (circa 20 mila in Trentino), il 70% sono donne, per la maggior parte con un’età inferiore ai 30 anni. La comunità è l’unica vera forza da mettere in campo, non possiamo continuare a curare ferite”.

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FOTO: © Luigi Oss Papot