Semplicemente, “Occhi”. S’intitola così la nuova Lettera alla comunità dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi, edita da Vita Trentina: uno sguardo di speranza oltre l’emergenza, come lascia intuire l’immagine di una giovane in copertina, occhi aperti al futuro sul volto ancora coperto da una mascherina.
“In più di un anno di pandemia – esordisce monsignor Tisi – abbiamo attraversato la quotidianità avvalendoci di occhi altrui. Siamo stati soffocati da notizie spesso contradditorie, incapaci di intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone. È venuta meno – denuncia – l’acqua buona della fiducia, abbiamo respirato l’aria pesante della reciproca diffidenza. Ora – auspica però don Lauro – è il tempo di ricucire”.
Secondo l’Arcivescovo, con il graduale ritorno alla normalità “dovremo far tesoro di gesti prima abituali, per troppo tempo impediti dall’emergenza. Ma spetterà a noi – riconosce – affrancarli dalla routine in cui, in precedenza, li avevamo superficialmente relegati”. “Ci siamo dotati – argomenta ancora– di protocolli che ci hanno saggiamente distanziati. In futuro non dovranno diventare alibi alla nostra incapacità di ristabilire relazioni significative”, di cui “dovremo tornare ad imparare la grammatica di base. Consapevoli che le relazioni autentiche non potranno mai essere ‘protocollate’.”
Monsignor Tisi torna poi a soffermarsi sulle tante morti provocate dal Covid: “In Trentino – rammenta – tante esistenze quanto un intero paese di medie dimensioni delle nostre vallate”. L’Arcivescovo ammette che proprio sul terreno della morte, nel pieno della crisi sanitaria, la Chiesa per prima è stata “afona”: “Con fatica – nota – abbiamo saputo attingere la notizia che in Gesù la morte è vinta, e non siamo più soli nel nostro morire”. E, aggiunge: “L’inconsolabilità della morte, paradossalmente, si ribella all’idea di una vita consegnata al nulla” scrive don Lauro, citando anche la recente tragedia della funivia del Mottarone: “Diversamente, che cosa potranno raccontare la zia e la nonna al piccolo Eitan, i cui occhi smarriti cercano quelli di chi lo ha amato più di ogni altro? Chi è legittimato a ipotizzare che non rivedrà mai più sua madre, suo padre, il suo fratellino?
Rivolgendosi in particolare alla comunità ecclesiale, chiamata ad intraprendere il prossimo cammino sinodale, don Lauro la invita ad una sana inquietudine evangelica, rilanciando alcuni interrogativi di fondo: “Chiesa di Trento, hai ancora voglia di annunciare Gesù di Nazareth? Oppure sei seduta ad aspettare la conclusione dei tuoi giorni? Gesù di Nazareth ti affascina ancora?”.
“A San Vigilio e ai Martiri – aggiunge monsignor Tisi – affido il sogno di una Chiesa trentina dove al posto del giudizio si sostituisca la stima delle persone. Alla rabbia e alla ricerca del capro espiatorio subentri l’impegno di rimboccarsi le maniche e assumersi le proprie responsabilità. Una Chiesa capace di riconciliazione”.
Nella parte finale di “Occhi”, così come nella Lettera dello scorso anno (#noirestimaovulnerabili), monsignor Tisi si sofferma sui giovani, alla luce anche di recenti statistiche: “Dopo dodici mesi, davanti ai nostri occhi – denuncia – c’è un bollettino di guerra: solo in Italia duecentomila studenti usciti dalla scuola, dalla primaria alla media superiore. Alunni spariti dall’anagrafe scolastica e, nella maggior parte dei casi, destinati a rimanere fuori da ogni percorso formativo e professionalizzante”. I giovani “continuano a pagare in modo drammatico, ma per lo più nascosto, le conseguenze della pandemia”.
Di qui l’appello vibrante: “Di fronte alle straordinarie risorse messe a disposizione dall’Europa per far fronte alla pandemia, mi chiedo quanto realmente sia presente il volto dei giovani come veri destinatari delle scelte strategiche del Vecchio Continente. Quali opportunità stiamo lasciando alla loro conoscenza, alla loro creatività, al loro diritto di provare e anche di sbagliare? L’occupazione degli spazi è lo sport preferito degli adulti. Pensano di essere insostituibili, non accettano di farsi da parte. Sono l’altra faccia del narcisismo diffuso”.
Dopo il “grazie” per aver risposto in tanti all’appello da lui lanciato nel dicembre scorso a compiere “Passi di prossimità” (“I giovani, capaci di scattare in piedi di fronte al bisogno, si sono dimostrati ben più grandi di molti, presunti, adulti”), sono proprio due giovani a meritare la menzione finale dell’Arcivescovo: il lombardo Marco Gallo scomparso a 17 anni in odore di santità, a cui si deve una frase divenuta icona della responsabilità: “Ogni giorno scegli tu dove guardare”; e il “nostro” Antonio Megalizzi che ben sapeva dove orientare i propri occhi: “Il cielo troppo azzurro per guardarlo senza nessuno a fianco”. “Marco e Antonio – conclude don Lauro – ci regalano oggi un’eredità spirituale che profuma già di Risurrezione”.
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