La storia di Helen, nigeriana approdata in Trentino dopo una drammatica esperienza migrante e qui diventata cristiana, apre la Lettera dell’arcivescovo Lauro alla comunità trentina in occasione del patrono San Vigilio, dal titolo “Lievito e sale”.
Un testo di immediata lettura, nel quale monsignor Tisi racconta anzitutto l‘emozione provata nel conferire il sacramento del Battesimo ad una donna simbolo di tanti “viaggiatori in fuga ai quali, dopo aver rubato i sogni, neghiamo – scrive – un porto ove provare a ritrovarli. Senza però poter togliere loro la capacità di sperare, alla quale noi, per contro, abbiamo da tempo abdicato”.
Don Lauro invita a riscoprire e praticare la bellezza di “parole che curano”: quelle evangeliche, certo, che hanno ridato speranza ad Helen, e prima ancora quelle con cui ci relazioniamo agli altri. “Le parole curano solo se prima si è stati capaci di ascoltare. Ma quanto siamo disposti realmente ad ascoltare?” si interroga monsignor Tisi, aggiungendo come “supini per ore su uno schermo, bombardati di ‘post’ e immagini, le parole altrui” rischino di essere solo “una scontata colonna sonora delle nostre giornate”. “Ascoltare è fissare l’attenzione su un volto. Per interpretare anche i silenzi con cui ci parlano tante umanità ferite e in preda alla nostalgia della speranza” annota l’Arcivescovo.
Monsignor Tisi attribuisce un ruolo chiave agli operatori della comunicazione, invitati dal Papa stesso a ‘parlare con il cuore’, “ovvero – concretizza don Lauro – ricercare e dire la verità, ma farlo con carità”. L’Arcivescovo ringrazia i comunicatori “per il loro servizio cruciale e spesso sottovalutato”. Rivolge però loro un appello a “non lasciarsi fagocitare dalla fretta produttiva. Ad avere attenzione ai volti e sentirsi parte delle storie” raccontate, sull’esempio di don Milani e del suo “I care”, “mi sta a cuore”.
Di fronte alle contraddizioni in cui l’umanità si dibatte – “declamiamo pace e perseguiamo la guerra, imbracciamo volontariamente una pala per fermare il fiume di fango che spazza via la quotidianità delle persone cementata di costanza e sacrifici e, al contempo, maneggiamo uno smartphone quasi fosse una clava” – la guida della Chiesa trentina denuncia una “perdita di credibilità dilagante che tocca ogni istituzione e ogni ambito sociale. Essere credibili è oggi la grande sfida che abbiamo tutti davanti”.
Riguadagnare credibilità secondo l’Arcivescovo è possibile, prendendo atto che “abbiamo innescato una macchina capace di fagocitare l’umano, mettendo ai margini il valore intrinseco di ogni persona”, dentro un “sistema che genera ansia e disperazione e dal quale molti, comprensibilmente, provano drammaticamente a smarcarsi”.
“Perseguiamo – è il monito poco più avanti di Tisi – il confronto delle idee e usciamo dalle parole-sentenza, non facciamo volteggiare la clava del pregiudizio e della delegittimazione dell’altro”.
Per il credente il modello della credibilità è pienamente incarnato da Gesù di Nazareth, capace di assumere come “forma fondamentale di comportamento la povertà (…), espressione di libertà radicale e di fiducia incondizionata nel Padre”.
“Il Dio di Nazareth – scrive don Lauro – si fa povero di sé e non agisce in concorrenza all’uomo. Si fa umano perché l’uomo possa crescere”. Un modello di comportamento essenziale anche per la Chiesa, chiamata ad essere “lievito e sale”, gli elementi al centro della Lettera: “questa – argomenta l’Arcivescovo – è la vocazione della Chiesa: porsi in ascolto della vita e far parlare il reale, perché siamo emozione, vissuto, prima che idee”. Una Chiesa “non presuntuosamente arroccata nelle sue certezze, ma povera e serva. Chiamata a rifuggire l’autoritarismo, colpevole di spegnere la pazienza della tolleranza e la libertà del dialogo”.
Don Lauro si sofferma poi sulla prospettiva che vedrà la Diocesi, a partire dall’autunno prossimo, assumere la gestione del convento dei Cappuccini a Trento. L’Arcivescovo conferma l’intenzione di mantenere in vita la mensa dei poveri e ad alcune attività già in essere, individuando nel Convento un luogo di ricarica spirituale attorno alla Parola di Dio e un “cuore pulsante di vita caritativa e fraterna, a beneficio della comunità cittadina e diocesana. All’interno della struttura – precisa –, oltre ai servizi ecclesiali più vicini al mondo della povertà, prenderanno dimora la famiglia di un diacono permanente e alcune religiose. Vi troverà casa anche la comunità degli studenti universitari”.
Parola, Pane, Poveri: ecco le “tre parole-icone” o l’“unico algoritmo della nostra fede”, come lo definisce monsignor Tisi, in contrasto alla diffidenza suscitata dalla “deriva digitale” che trova l’apice nell’abuso dell’intelligenza artificiale. L’antidoto? Le pagine evangeliche e le storie che raccontano la bellezza dell’umano. Come il padre capace di donare al proprio figlio una parte del proprio polmone. “Questa – chiosa don Lauro, prima di affidarsi a un’intensa preghiera di Dietrich Bonhoeffer – è la credibilità dell’amore: dare respiro alla vita”.