La prima messa di don Federico Mattivi

Chiesa parrocchiale della Natività di Maria, a Pergine, gremita domenica 14 settembre per la prima messa di don Federico Mattivi, sacerdote novello. Attorniato dal calore e dalla vicinanza di tanti sacerdoti, dei familiari e degli amici, in una celebrazione semplice ma carica di significato, don Federico ha voluto, prima della benedizione finale, salutare tutti in questo modo:

Mi sono detto più volte che avrei voluto concludere questa celebrazione con un sentito ringraziamento. Immagino che molti di voi si aspettano un ringraziamento del tipo “grazie a tutti per tutto, ma mi pare una formula troppo scontata. Rileggendo la mia storia, ripercorrendo gli anni prima, dopo e durante il seminario, sono convinto del fatto che per crescere ho avuto bisogno di tutti.

Ho avuto bisogno di una famiglia che mi accogliesse, che mi accompagnasse e che accettasse, anche senza capire tutto subito, una scelta bella ma poco convenzionale. Ho avuto bisogno di amici e oggi cito in particolare gli amici del Sermig che sono saliti da Torino, da Mori e da Vicenza, apposta per l’occasione, con cui apprezzare la bellezza della condivisione e dell’esserci.

Ho avuto bisogno di una comunità, anzi di più comunità, perché è presente anche la Regnana, qui davanti, la Valfloriana, che mi mostrassero che il dono gratuito è la dimostrazione più vivida dell’agire di Dio. Molti di noi sanno che a Perzen tut l’è grant. Quanto sarebbe bello se Pergine fosse riconosciuta grande non solo per la grandezza della chiesa, della piazza, della festa patronale, ma per la generosità di chi la abita.

Ho avuto bisogno di un oratorio aperto che potesse accogliere il mio desiderio di crescere. Ho avuto bisogno di persone che lo abitassero con passione e dedizione, mossi dalla convinzione che un futuro più buono si costruisce passo dopo passo, partendo proprio dai giovani.

Ho avuto bisogno di conoscere Don Bosco, padre, maestro e amico dei giovani. Ho avuto bisogno di un convento che mi facesse conoscere la povertà evangelica e la perfetta letizia di San Francesco. Ho avuto bisogno di un coro, quello che oggi ha animato è il coro dove io ho iniziato a cantare.

Ho avuto bisogno di persone che sostenessero i miei passi con la preghiera. Quante volte le preghiere ricevute mi hanno salvato e mi hanno tenuto in piedi. Ho avuto bisognodi maestri, di persone più esperte di me, che mi indicassero i passi più saggi da percorrere. Ho avuto bisogno di porte aperte, di convivialità, di pasti condivisi, di gente con cui sentirmi a casa. Ho avuto bisogno di esperienze che vagliassero con il fuoco le mie convinzioni e le mie certezze, di cadute e di errori da cui imparare.

Ho avuto bisogno di vite che profumano di Vangelo, che riaccendessero in me il desiderio di conoscere Gesù più da vicino. Ho avuto bisogno di poveri che mi mostrassero l’essenziale e che mi mantenessero con i piedi per terra. In tutte queste circostanze, e nei poveri in particolare, ho avuto bisogno di un Dio che mi mostrasse il suo amore per me, per noi, che trovasse il modo per suscitare in me il desiderio di servirlo. Ed è stato bravo perché c’è riuscito.

Ho avuto bisogno di tutti, ma avrò ancora bisogno di tutti. Non basta indossare una casula per dirsi prete, sono un prete tutto da costruire, pezzo dopo pezzo. E servirà ancora il contributo di chissà quante altre persone per fare in modo che io cresca, che maturi, che impari ancora, che impari ciò che ancora non so. Faccio allora mia mie le parole di Giovanni Paolo II: “Se sbaglio mi corriggerete”.

In questo momento di grande festa desidero nominare alcune persone che non sono qui in carne ed ossa, ma sono fortunate perché partecipano con noi all’eucarestia, ad un’eucarestia più bella di questa, perché è la liturgia perfetta, è quella del cielo. E nomino allora Marina groff, Tommaso Mattivi e don Mauro Leonardelli.

Al termine della celebrazione consegnerò un santino in ricordo di questa messa, dove è riportata una frase che San Paolo scrive nella seconda lettera ai corinzi e dice così: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi”. Penso che il vaso di creta rappresenti bene la nostra vita: è preziosa, unica, inestimabile. Ma come la creta è anche debole, fragile, povera e talvolta insufficiente davanti alle sfide, alle domande e alle situazioni della vita.

Il Signore ha scelto di affidarsi alle nostre vite, ai nostri vasi di creta. Non cerca superuomini, ma come i discepoli persone comuni, fragili, che spesso faticano a credere. Ci prende così come siamo per renderci santi. Se questi vasi fossero preziosi, attirerebbero l’attenzione su di sé. Nella loro umiltà, invece, rimandano altrove. La potenza della Parola di Dio, il tesoro che custodiamo, si fa presente nella nostra inadeguatezza per rendere chiaro a tutti che la sua efficacia viene da lui e non da noi.

La presenza di Dio non toglie l’argilla del vissuto quotidiano, ma la fa diventare custodia della sua presenza in noi. Grazie Signore, perché ci hai chiamati e ci hai reso felici di servirti. Da soli non ce la faremo mai. Ma se tu ti fai vicino a noi e ci chiami attraverso noi, puoi diventare il presente oggi nella storia.

Cari giovani, auguro a ciascuno di voi dicercare e di trovare la felicità. Non sentitevi soli nel farlo, non abbiate paura di disturbarci, di chiedere aiuto se ne avrete bisogno. Non abbiate paura di custodire domande, di cercare risposte. La vostra vita ci sta a cuore. Chiedete anche a Dio di aiutarvi. Ciò che lui vuole per voi, proprio per voi, è molto più bello di tutto ciò che potrete chiedere voi con la vostra immaginazione.

Grazie a tutti voi per il vostro affetto e la vostra vicinanza.